di Umberto Zanfrisco
Quanti ne ho visti alle Isole Tremiti, sulle antiche mura, di “tiranti e capochiave”.
E dopo il primo grande restauro degli anni ’60 del secolo scorso, ne sono rimasti in bella vista veramente tanti … “Tiranti e capochiave” sono da sempre abituati a lavorare insieme tanto da riconoscerli col nome di “catena”. Costituiscono uno dei metodi più antichi ed efficaci per migliorare la resa strutturale delle costruzioni in muratura. Sono chiamati ancor oggi “catene” proprio per la loro capacità di trattenere, legate tra loro in una sorta di patto di solidarietà, i muri di un qualsiasi edificio. Soprattutto quelli più antichi. Quelli del tempo in cui le costruzioni erano fatte senza cemento armato, ma piuttosto di pietra, tenute insieme da malta povera o addirittura fango.
Case, chiese, ponti, torri, mura fortificate o campanili che fossero. E sull’isola di San Nicola di Tremiti c’era (e c’è) tutto questo! Nelle vecchie case, s’incominciava a posare le “catene” dal secondo piano e si ripeteva per i successivi. In questo caso le “catene” restavano fissate e nascoste all’interno del muro portante. In facciata restava visibile solo il “capochiave”, magari non eccessivamente elegante, ma che ancora oggi trasmette piuttosto un senso di forza e sicurezza. La “catena”, di fatto, è una lunga barra di ferro battuto, spesso tondeggiante, detta “tirante”. Alla sua estremità un occhiello predisposto già nel momento della forgiatura, per contenere il “capochiave”. Il “capochiave” è davvero l’elemento di chiusura dell’intera “catena”, per questo il suo nome non è casuale. E’ l’unico pezzo messo in bellavista ma fondamentale per il funzionamento della catena. Un tempo nel momento della posa del “capochiave” era in uso riscaldare le parti terminali della “catena” per dilatarla. Con il successivo raffreddamento, la “catena” tendeva ad accorciarsi ed entrare quindi in trazione: rimembranze di marinai usi a buttare acqua di mare sulle funi e gomene per tirar barche a riva sulle “palanche” oppure issare alberi per incassarli sul madiere (chiglia) attraverso la scassa, sotto l’occhio vigile dei Maestri d’ascia! E solitamente il “capochiave” non va posto in maniera verticale ma possibilmente con l’inclinazione di circa venticinque gradi, per influire così su un’area maggiore del muro. Le “chiavi” erano e sono sempre indispensabili per contenere le spinte laterali degli archi o delle volte. La teoria e la tecnica restano le stesse di un tempo sebbene i materiali e la tecnologia siano cambiati. Questo antico ma efficace metodo di consolidamento delle murature è ancora attuale.
Soprattutto nei casi di restauro di edifici storici.
Anche questo erano le Isole dell’infanzia; ed oltre …