PERSONAGGI STORICI

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Portrait of Ferdinand I of the Two Sicilies
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Vispania Giulia Agrippina, nota come Giulia minore,nata il 19 a.C. e membro della dinastia Giulia-Claudia, in quanto nipote dell’ imperatore romano Augusto , era la seconda figlia di Marco Vispanio Agrippa e di Giulia Maggiore, figlia di Augusto e della sua seconda moglie Scribonia. Augusto diede una educazione morigerata alla propria nipote, come pure alle altre donne della sua famiglia. Fece loro insegnare come lavorare la lana, una delle attività tipiche delle matrone romane, e fece tenere un diario di tutte le cose che facevano o dicevano, impedendo loro di incontrare stranieri. Sposò Lucio Emilio Paolo console per l’anno 1.Ebbe una relazione adulterina con Decimo Giunio Silano, per la quale venne esiliata (anno 9) dal nonno Augusto sull’isola di Tremerus (le attuali Isole Tremiti). Questo stesso adulterio fu, secondo alcuni, anche la causa della relegatio cui fu condannato il poeta Ovidio. Un figlio che nacque dopo il suo arrivo nel luogo di esilio venne dichiarato illegittimo per volere dell’imperatore, e condannato all’expositio.. Giulia rimase sull’isola per il resto della sua vita, vivendo grazie ai contributi concessile dall’imperatrice Livia Drusilla. Quando morì, nel 28 o 29, venne seppellita sull’isola, in quanto, come già successo alla madre, venne proibito da Tiberio di conservare le sue ceneri nella tomba di famiglia, il Mausoleo di Augusto.Tacito storico romano, nei suoi  “Annales” Tacito  chiama Trimerum, le isole Tremiti, riferendosi al luogo della morte di Giulia.

Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio, scrittore, ammiraglio e naturalista romano. Nella sua opera Naturalis historia, che conta 37 volumi, cita le isole Tremiti col nome di Teutria.

Paolo Diacono, vissuto tra il 720 e il 799 apparteneva a un’eminente famiglia longobarda. Verso i vent’anni fu inviato a Pavia, presso la corte regia, dove studiò con il grammatico Flaviano. Re Desiderio gli affidò l’educazione della figlia Adelperga, che Paolo probabilmente seguì quando sposò il duca di Benevento. L’avanzata vittoriosa di Carlo Magno segnò un cambiamento che toccò Paolo da vicino: nel 776 suo fratello fu fatto prigioniero in quanto coinvolto in una congiura contro Carlo. Nel 782 Paolo scrisse al re una lettera di intercessione per il fratello e si recò in Francia per chiederne la grazia. Paolo rimase alla corte di Carlo fino circa al 787, anno in cui era a Montecassino, abbazia a cui era legato. Le sue opere spaziano dalla storiografia alla poesia, dai testi liturgici alla biografia. La sua opera più importante è però l’Historia Langobardorum, la “Storia dei Longobardi”, che narra le vicende del popolo originario di Paolo dalla migrazione verso sud fino al 744, anno della morte del re Liutprando. L’Historia fu scritta con ogni probabilità alla fine della vita di Paolo. Non sono certe le fonti sull’esilio di Paolo Diacono alle Tremiti nel 780, reo di aver congiurato contro Carlo Magno Carlo Magno e della sua ipotetica fuga.

Abate Alberico di Tremiti – Il primo vescovo noto di Dragonara è Eimerado (o Almerado), documentato in due occasioni tra i diplomi dell’ abbazia benedettina di Santa Maria di Tremiti. Nel settembre 1039 appare come testimone nella donazione della chiesa di San Michele all’abate Alberico di Tremiti. Nel febbraio 1045 prese parte alla consacrazione della chiesa di Santa Maria di Tremiti, e in questa occasione pose nell’altare un reliquiario di pietra con inciso il suo nome. Il diploma di consacrazione venne redatto nel sedicesimo anno di episcopato di Eimerado, cosa che porta a datare l’inizio del suo ministero a Dragonara tra il 1028 e gli inizi del  1029. La diocesi di Dragonara si trovava in Capitanata nell’estrema parte settentrionale della Puglia. Confinava a nord-est con ladiocesi diCivitate, a nord-ovest con il fiume Fortore e la  diocesi di Larino a sud-ovest con le diocesi di Vulturarae di NMontecorvino, e a sud-est con la diocesi di Fiorentino. Sede vescovile era la città di Dragonara, abitato oggi scomparso, nel territorio dell’odierna Torremaggiore. La diocesi comprendeva un unico centro abitato su cui i vescovi esercitavano la loro giurisdizione spirituale, ossia il casale di Plantiliano, sul quale i vescovi vantavano anche diritti feudali.

Carlo II D’Angiò, Re di Sicilia, passato alla storia anche con il nome di “lo zoppo” attribuitogli dai suoi nemici per una menomazione che lo affliggeva dalla nascita, che non gli impedì di battersi con ardore e coraggio nel corso della sua intera esistenza. Figlio di Carlo I d’Angiò, sposò Maria d’Ungheria, erede di Stefano V. Nominato vicario del regno durante la Guerra dei vespri (1282), fu vinto e catturato dagli aragonesi nella battaglia del Golfo di Napoli (1284). Nel 1285 morì il padre ed egli ne ereditò il regno. Liberato nel 1288, fu incoronato a Rieti da Papa Niccolò IV nel 1289; da allora i suoi soggiorni nella città sabina divennero sempre più frequenti, soggiorni che spesso coincidevano nei tempi in cui il Papa trascorreva interi mesi a Rieti. Nel 1300 sconfisse i saraceni a Lucera e, grazie a questa impresa, nel luogo ove era ubicata una moschea oggi sorge una cattedrale con un monumento che raffigura il re angioino con l’armatura e la pesante spada tra le mani. Carlo II seppe interpretare i segni dei tempo. Non si limitò ad essere un re proteso al mantenimento del proprio stato ed alla conquista di nuove “corone”: comprese quanto la Chiesa di Roma fosse importante nei giochi politici e quanto determinante potesse essere la figura di un Papa libero dai giochi imposti dalle potenti famiglie romane. Per queste ragioni accolse con gioia l’elezione al soglio pontificio di Celestino V. Insieme al figlio scortò il Papa presso il giuramento, e gli storici contemporanei sono concordi nell’affermare che, se di lì a cinque mesi il Papa non si fosse ritirato, Carlo II avrebbe di certo imposto la suo personalità a gran parte della penisola, anticipando di due secoli il sogno di Macchiavelli riguardo all’unificazione nazionale. Morì a Napoli nel 1309 e lì venne provvisoriamente sepolto, poi, l’anno successivo venne trasportato ad Aix, in Provenza, nella terra dei suoi avi, anche se la storia continua a ricordarci che egli lasciò il suo cuore a Napoli, Roma e Rieti. Nel primo terrazzamento dell’isola di San Nicola, Il corso Roma e il Corso Diomede, paralleli fra loro, sono dominati dal Castello e dalla Fortezza. Il Portale principale di questo mastodontico baluardo, anche l’ultimo di difesa del Castello della Badia è collegato  con la larga strada a scaloni. Anticamente, un ponte levatoio, situato al limite di un profondo fossato (largo ca. 10 m) collegava il grande portale d’accesso all’abbazia. Il portale, sormontato dallo stemma dei Benedettini è fiancheggiato da un solido Torrione cilindrico, coronato da piombatoi, avanzo dell’antica Torre Angioina, costruita per i Cistercensi da Carlo II D’Angiò nel 1294. La presenza di pirati dalmati, infatti,intorno alle isole indusse lo stesso governo angioino a rafforzare le fortificazioni preesistenti nel periodo benedettino e a stabilirvi nello stesso periodo della costruzione del torrione, un presidio regio formato da cento uomini in estate e da cinquecento in inverno. Nei documenti della seconda metà del XIII secolo le Tremiti si presentavano come una fortezza, le carte parlano di “Castrum insulae Tremitanae”.  Ciò nonostante,  tra il 1334 e il 1343 i Cistercensi, in seguito al saccheggio compiuto dai pirati dalmati abbandonarono il monastero tremitese.

Ferdinando II di Borbone – Sul primo terrazzamento dell’isola di San Nicola, ancora oggi, seppure l’uso è abitativo e commerciale si riconoscono i bassi fabbricati della Colonia coatta istituita da Ferdinando IV, il 13 giugno 1792, soppressa nel 1809 da Gioacchino Murat e ripristinata nel 1842 da Ferdinando II di Borbone, 1 successivamente decaduta nel luglio del 1861 con l’Unità d’Italia.Il destino storico delle Tremiti, paradossalmente era di carcere sul mare, nel novembre del 1926, difatti, fu istituito il confino di polizia che durò fino alla caduta del regime fascista.

1 – ”Il 19 settembre 1844 il Re Ferdinando II sbarcò sull’isola per ammirare l’opera da lui iniziata; visitò prima di tutto la chiesa ed assistè devotamente ad un Te Deum, ricevè con manifesto disprezzo i reclami di alcuni relegati e ripartì dopo poche ore sul piroscafo che l’aveva colà trasportato. Le cose della nuova colonia procedevano assai male, i reati di sangue, i furti, il gioco d’azzardo, la camorra, gli atti di libidine contro natura succedendosi tutti i giorni con continua progressione. I coloni abbrutiti, oziosi, ignudi, pieni di debiti, sprovveduti di tutto, erano caduti in piena balia dei camorristi, i quali avevano persino utilizzati e venduti per conto proprio gli oggetti letterecci distribuiti dal governo. Il Ministero non sapendo come meglio rimediare a tanti disordini, pensò di porre a capo delle isole un Ufficiale superiore dell’esercito col titolo di Governatore civile e militare. Il colonnello Pietro Somma fu prescelto al penoso ed arduo incarico e venuto nell’isola proclamò lo stato d’assedio ed adottò una quantità di prescrizioni dirette a ristabilire l’ordine pubblico ed a migliorare l’infelicissima condizione dei coloni.Rimedio da lui meglio di ogni altro riputato efficace e più frequentemente usato fu quello del bastone. Ogni mattina il cavalletto veniva alzato nel campo della colonia e le legnate somministrate senza pietà persino alle donne. I risultati, com’era naturale, non rispondevano sempre alla durezza del castigo, ed è cosa ancora colà nota e risaputa che nello stesso momento in cui, per punire i giuocatori ed intimidirli, cadeva il bastone sulle carni dei colpevoli, alcuni coloni a pochi passi di distanza del cavalletto ardivano di giuocare a zecchinetto. Costituitasi l’Italia una e indipendente, nel 1862 il comando delle isole Tremiti passò alla dipendenza del Ministero dell’interno, il quale nel 1863 diede al Direttoredella colonia le funzioni di sindaco, di delegato di pubblica Sicurezza e di Pretore. Venendo coadiuvato da un contabile e da due impiegati del ruolo dell’amministrazione carceraria, da un presidio di sette carabinieri, comandati da un maresciallo, e da un presidio di quaranta soldati di fanteria, sotto gli ordini di due ufficiali, d’un tenente e d’un medico militare, che funziona anche da farmacista. La parrocchia di Tremiti, detta S. Maria a mare, di regio patronato, dipende dalla Diocesi di Larino, in provincia di Campobasso, ed è ufficiata da un parroco e da un economo curato, quello nominato dal Re, questo del Ministero di Grazia e Giustizia. Il parroco percepisce sul bilancio del fondo del culto un assegno di congrua e spese di culto; è inoltre cappellano e maestro di scuola della colonia penale, e gode un altro assegno sul bilancio dell’amministrazione delle carceri. L’economo curato coadiuva il parroco nell’esercizio delle pratiche religiose ed è anch’egli provveduto di un annuo assegno sul fondo del culto. La parrocchia non ha rendite né proventi e si mantiene sugli assegni governativi. Il personale religioso ha ben poco da fare e da operare nell’isola, perché tanto gli indigeni, quanto i relegati, tutti profondamente pervertiti ed increduli, non si accostano mai ai Sacramenti ed alle funzioni ecclesiastiche…” ( Vincenzo Malice, Cronaca e considerazioni intorno alle Isole o Gruppo di Tremiti, San Severo,1889, pp.26-28).

Tenente Filippo Neri –  Nel 1807 sotto il regno di Giuseppe Buonaparte, fratello di napoleone, il tenente Filippo Neri,  con 80 ausiliari dei francesi difese l’isola di San Nicola contro una flotta anglo- russa. Gli inglesi, sbarcati nell’omonima Cala, sparando da San Domino tentarono di farli arrendere bombardando la facciata della chiesa che ancora oggi mostra i segni.

Sandro Pertini – Sono sempre state terre di confino le Tremiti, sin dall’antichità, ne passarono a centinaia. Nel 1911 furono confinati alle Tremiti circa milletrecento libici che si opponevano all’occupazione coloniale italiana. A distanza di un anno circa un terzo di questi erano morti.  In epoca fascista Mussolini continuò a mandare sulle isole gli oppositori politici ; dal 1940 fino alla fine del secondo conflitto mondiale vi fece deportare, Parlamentari come Finzi, Ferreri e Martire, avvocati come Brignetti e Mancinelli e Bolli, Ingegneri, medici, sindacalisti. Per pochi giorni anche Sandro Pertini, trasferito per punizione da Ponza alle Tremiti. Alloggiava nell’ultimo casermone di via degli Abati sull’isola di San Nicola, e quasi di fronte dimorava invece Amerigo Dumini, uno degli assassini di Giacomo Matteotti. Il Dumini, teneva a guinzaglio un cane bianco, era sempre elegantissimo, sempre scortato da quattro carabinieri che temevano per la sua vita. Era l’unico confinato al quale non censuravano la posta. Scriveva ogni settimana al duce e riceveva denaro da Roma. La sera del 25 luglio 1943 il fascismo cadde e la triste storia delle deportazioni alle Tremiti finì per sempre.“Se in quei giorni mi avessero detto che un giorno sarei diventato presidente della Repubblica mi sarei messo a ridere”, così diceva il Presidente Pertini ricordando il giovane partigiano. Nato a Stella, in provincia di Savona, nel 1896, aveva partecipato, giovanissimo alla prima guerra mondiale e, da militante socialista, aveva subito la repressione fascista, il carcere, l’esilio, la condanna a morte. Un eroe della Resistenza, un padre fondatore della democrazia repubblicana. Nella sua vita si leggono gli eventi tragici di un intero secolo, l’orrore di due guerre mondiali, le barbarie dei regimi dittatoriali ma anche la volontà del riscatto, il coraggio, la speranza, la vittoria. Pertini si spense a Roma il 24 febbraio 1990.Le isole Tremiti lo ricordano fieri nella piazzetta di San Domino a lui dedicata.

Muʿammar Gheddafi – Ex Primo ministro della Libia – Mu’ammar Muhammad Abu Minyar ‘Abd al-Salam al-Qadhdhafi, semplificato come Mu’ammar Gheddafi, è stato un militare, rivoluzionario e politico libico. Fu la guida ideologica del colpo di stato militare che il 1º settembre 1969 portò alla caduta della monarchia del re Idris I di Libia e del suo successore Hasan. Nascita: 7 giugno 1942, Qasr Abu Hadi, Libia. Assassinio: 20 ottobre 2011, Sirte, Libia – Figli: Saif al-Islam Gheddafi, Aisha Gheddafi, Saadi Gheddafi.Coniuge: Safia Farkash (s. 1970–2011), Fethiye Nuri al-Khaled (s. 1969–1970) (Wikipedia).

Sulla punta della Provvidenza di San Domino (Appicco delle Diomedee), sulla quale si erge il faro, una vecchia costruzione classica della Marina Militare, alto 48 metri e mezzo, con una portata luminosa di 20 miglia marine, a ottica rotante. Generazioni di fanalisti tremitesi si sono alternati con le loro famiglie a guardia del faro di S.Domino: Giovanni Greco, Emilio, Enrico e  Menico Calabrese.  Si nota, la strada che partendo dal faro stesso scompare nel fittissimo bosco del Colle dell’Eremita e prosegue per circa due chilometri fino all’abitato di S. Domino. Il faro, semidemolito è stato abbandonato dal novembre del 1987 anno in cui ci fu un’esplosione, durante la quale perse la vita uno dei due attentatori mentre tentava di innescare un ordigno potentissimo (il primo piano del piccolo edificio su cui si trovava il faro andò quasi completamente distrutto. Durante le indagini di questo “giallo tremitese” alcuni particolari contribuirono a gettare una luce inquietante sulla terribile vicenda. Innanzitutto la personalità dei due svizzeri ,  Jean Louis Nater (questo il nome del morto) 39 anni di Francoforte e Samuel Albert  Wampfler, 45 anni, entrambi pregiudicati che avevano pernottato e pagato in anticipo, spacciandosi per appassionati di pesca, da Jolanda e Peppino Sciusco, proprietari dell’ Albergo “La Bussola”e, dopo l’attentato, il ritrovamento di una sacca con cinquemila franchi svizzeri e banconote italiane per circa un altro milione di lire. Tutto questo avvenne a dieci giorni di distanza dalle minacce (poi smentite) di Gheddafi: il leader della Jhamairia che aveva ipotizzato una rivendicazione sulle Tremiti, in quanto, secondo le sue opinioni, popolate da discendenti delle famiglie libiche deportate nell’arcipelago nel 1911.(notizie tratte dall’ articolo Un timer conferma: attentato. E’ di uno svizzero il cadavere dell’esplosione alle Tremiti,(Il Messaggero, lunedì 9 novembre 1987, p. 5)del giornalista Guido Alferj ( inviato speciale de “Il Messaggero” per le Cronache italiane).