SAN DOMINO LA VERDISSIMA

Le cale, le grotte, i luoghi, l’approdo, flora e fauna

12809768_10208169905912613_2578054019604776099_n
92149381_2772943736094823_7922915515117338624_o
hdr
10
10917404_10204526393634353_7196704667625382603_n
11
hdr
9
6
7
8
1
5
4
3
2
12809768_10208169905912613_2578054019604776099_n 92149381_2772943736094823_7922915515117338624_o hdr 10 10917404_10204526393634353_7196704667625382603_n 11 hdr 9 6 7 8 1 5 4 3 2

San Domino, così chiamata perché in tempi remoti era stata eretta una chiesa dedicata a questo vescovo e martire e dai latini detta Trimerus, Trimerum o Tremetis (Tacito, Annali, IV, 71) è l’isola più grande del Gruppo delle Tremiti. La sua superficie è di 208 ettari e conta appena 300 abitanti.

Essa detiene altri due primati: è la più meridionale e la più alta (116 metri sul livello del mare) delle cinque isole; è costituita da un massiccio compatto di calcare eocenico, collinosa e coltivata, frastagliata di coste, così bella che i monaci Lateranensi la identificavano come Orto del Paradiso.

Ammantata da una verdissima pineta di pini d’Aleppo, alberi dal fusto e dai rami frequentemente ricurvi e contorti che conferiscono alla chioma un aspetto leggero e vaporoso, a tratti presenta una profumatissima e rigogliosa presenza di macchia mediterranea (cisto, rosmarino, mirto e olivastro) e

possiede, interessante poiché legata all’ambiente insulare, una particolare pianta endemica: il fiordaliso delle Tremiti o Centaurea diomedea. In primavera, le sue pareti rocciose si rivestono di policrome fioriture per la presenza di numerosi arbusti dai quali spiccano con i primi caldi i fiori rosei del Centaurium e quelli gialli della Cineraria argentea e dell’Ombretta.

Delle isole Tremiti, a parte la leggenda di Diomede, si parlava già dal I secolo dopo Cristo, quando venne confinata Giulia figlia di Agrippa e nipote di Ottaviano Cesare Augusto, rea di adulterio continuato; nel 1010 i monaci benedettini scelsero l’isola di San Domino per erigervi il monastero di San Domenico e San Jacopo, rendendosi autosufficienti col lavoro della terra. Ma la permanenza dei monaci a San Domino, che risultava difficile da difendere dalle continue scorrerie dei pirati, durò appena trent’anni, nel 1045 i Benedettini si trasferirono per queste ragioni a San Nicola che con i suoi baluardi naturali si presentava inespugnabile a tutti gli assalti, anche se nei secoli a venire talvolta i pirati dalmati riuscirono ad avere ragione sulla fortezza. Tanto che, più volte le isole torneranno ad essere disertate, e poi a rifiorire, in alterne vicende. Attorno al 1410 San Domino avrà un altro ospite. Lo storico padre Vincenzo Coronelli nel suo Isolario datato 1696, narrava che “Un uomo da bene chiamato Pietro Polono risolse con un solo compagno di passare nell’isola di San Domino ed ivi esercitarsi nella vita Romitica”.  Francesco Delli Muti, nell’ opera “Le Isole Tremiti”, scrive, invece di un certo eremita Bertucci, nome rilevato da un romanzo di Marino Marinelli che, sfuggito alle leggi di Venezia, approdò con una zattera nell’isola molto prima dell’epoca dei monaci. Con certezza sappiamo che nel punto più alto della collina di San Domino l’eremita vi costruì un rifugio e alle meditazioni alternò il lavoro della terra coltivando vigne, oliveti, piante da frutta, orti. Questa località ancora oggi viene denominata Cappella del Romito.

Nel 1987 con l’attentato al faro di San Domino riemerge ancora una drammatica pagina di storia legata a  milletrecento libici esiliati alle isole Tremiti, tra il 28 settembre 1911 e il 18 ottobre 1912, durante la guerra italo-turca, nota come guerra di Libia, combattuta tra il regno d’Italia e l’impero ottomano per il possesso delle regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica. Tra i prigionieri deportati, notabili libici, tra i quali, il famoso Omar Mukhtar Pascià di Bengasi. Con loro, giunse alle Tremiti il temibile vaiolo nero che in breve sterminò i deportati e fece molte vittime anche tra la popolazione locale.

Alle pareti inaccessibili e alle falesie precipiti di San Nicola, l’isola di San Domino contrappone tutte le possibili varianti di incontro con il mare: cale e calette, scogli impervi e grotte, rilievi corrosi e modellati dagli agenti atmosferici; dentro e fuori archi giganteschi che la roccia forma a cinquanta metri di profondità, rivestiti sul fondo, ai lati, sulla volta, di gorgone di grande dimensione, fino ad un metro e mezzo, e così fitte da non lasciare intravedere nulla di quanto si nasconde alla loro base.

 Costeggiando, dunque, la lunga carena di San Domino che si protende, da cala degli Schiavoni, antico porticciuolo schiavonesco con imbarcadero, procedendo verso nord, lasciandosi a destra l’isola del Cretaccio, si trova la splendida cala del Diamante e lo scoglio del Monaco che fa da sentinella: pareti alte di roccia chiara, biancastra, coperte alla sommità dal cuscino verde dei pini, si aprono in una unica spiaggetta arenosa le cui acque verde azzurro si chiazzano dell’ombra dei Pagliai, una decina di grandi e piccoli monoliti piramidali, somiglianti ai covoni delle campagne italiane. Con la barca è possibile attraversare il più grande dei monoliti, forato alla base da una parte all’altra per una lunghezza di circa 20 metri. A punta del Diamante, secondo la leggenda, uno dei tanti personaggi che portarono i loro tesori alle Tremiti, seppellì un diamante di eccezionale grandezza e valore. La costa prosegue a sud-ovest, facendosi bassa e scogliosa. Dopo cala Tamariello, così denominata per l’abbondanza di gamberetti, che nel dialetto locale si chiamano appunto “amarielli”, e oltre la punta e la grotta del Coccodrillo, per l’aspetto dell’animale che presenta la roccia e la cala Tonda, che forma un laghetto con fondo sabbioso, chiuso da alte pareti di roccia, si apre il grande semicerchio di cala Tramontana: all’interno della sua ampia insenatura una necropoli neolitica, la più antica testimonianza di insediamenti umani nelle isole. Segue punta del Vuccolo, piccolo promontorio molto sporgente che chiude a sinistra cala degli Inglesi, così chiamata perchè dal vapore inglese a pale che naufragò vi sbarcarono i marinai con il carico di mercanzie. Cala degli Inglesi e punta del Vapore, dove nel marzo 1864 affondò una nave inglese o, secondo un’altra versione il “Lombardo” carica di garibaldini, portano all’ampia cala dei Benedettini, dove i monaci, al tempo della loro residenza a San Domino (1010 – 1045 d. C.), avevano costruito una grande cisterna per la raccolta dell’acqua piovana. Ed ecco la grotta delle Rondinelle dove in primavera nidificano le rondini, sorretta all’interno da due grandi pilastri naturali, con uscita dalla parte opposta verso sinistra; a N.W. la cala Rossa forma un largo semicerchio circondato da nuda roccia e da una cava di pietra mista ad argilla rossa; sormontata da una pineta che si adagia lungo il costone che sale fino al punto più alto dell’isola. Superata punta Secca, arida e priva di vegetazione e l’Architiello, la costa si fa mano a mano più alta coprendosi di macchia e di pineta, fino a toccare gli 85 metri sul mare, in un alternarsi di rocce nude a strapiombo e di sassaie ricoperte di piante di cappero, gialli fiori di elicriso e altre essenze erbacee adatte agli ambienti salmastri. L’Appicco è l’anfiteatro, maestoso se visto dal basso, pauroso se visto dall’alto, della Ripa dei Falconi, ideale rifugio dei pochi falchi sopravvissuti (falco della regina, falco pellegrino e gheppio). La Ripa dei Falconi viene citata nella Cronica Istoriale di Tremiti: “ E’ detto che questi falconi sono di ottima specie e di cotanta bontà, e perfettione che i falconieri francesi, che ne fanno mercantia, venivano costì a comprarli, in quel tempo, per nella Francia introdurli, dilettandosi sopramodo i Francesi di tal caccia”. In questo scenario selvaggio, uno scoglietto chiude come una difesa, l’apertura bassa e buia della grotta del Bue Marino: 74 metri di lunghezza, 6 di larghezza e 4 di altezza, nel fondo si apre una minuscola spiaggetta di ghiaia con l’acqua poco profonda, e una paretina di roccia divide il percorso principale da una bassa insenatura che volge a sinistra e che si dice fosse stata il rifugio degli ultimi esemplari di foca monaca, volgarmente chiamata bue marino, da cui la grotta prese il nome.  La volta e le pareti sono formate di durissima pietra sfaccettata, adatta alla lavorazione a grana fina, molti dei suoi frammenti che col tempo si sono staccati, spiccano bianchissimi sotto le acque azzurre della grotta. La costa continua alta fino a punta della Provvidenza e punta del Diavolo, e oltre il faro si apre la vista del versante pugliese e garganico; dopo la piccola cala con l’omonima grotta delle Murene, la cui entrata, molto angusta, non è praticabile dalle imbarcazioni, la costa si abbassa, e il manto della macchia e dei pini giunge a pochi metri dal blù e dal verde del mare.

Proseguendo a sud si incontrano la punta di Ponente con costa bassa e la piccola insenatura delle Tre Senghe dalle tre alte fenditure nella roccia a picco che finiscono in mare e la baia di Zio Cesare.

Nella zona delle Tre Senghe scendendo  a circa 27 metri di profondità su un fondale costituito da varie dorsali rocciose che s’innalzano da distese di sabbia e praterie di Posidonia, si potranno ancora vedere alcuni colli e altri frammenti di anfore appartenenti al carico di una nave romana.

 Nei mesi primaverili non mancheranno spettacolari passaggi di ricciole e d’altro pesce di passo; mentre tra le fenditure della scogliera che sale verso la costa dell’isola, è facile individuare scorfani, murene e tane ancora ricche di saraghi. Poco oltre, attraverso una spaccatura nella roccia di cinque metri è possibile entrare con la barca nel “vestibolo” a forma di vasca cilindrica scoperta della famosa grotta delle Viole che offre ai visitatori splendidi giochi di colore nei riflessi dell’acqua: in tempo di fioritura le rosee centauree, la gialla ambretta, i fiordalisi blù e le violette selvatiche aggiungono al mare colorazioni che vanno dal viola allo scarlatto. A sinistra della vasca scoperta, attraverso uno spazioso varco, si entra nella seconda grotta in galleria, nella quale grandi pilastri naturali reggono la volta e nel fondo si apre la seconda uscita. Il versante orientale procede basso, scoglioso, frastagliato, tutto ricoperto da una ricca vegetazione, la fitta pineta di pino d’Aleppo, qualche leccio qua e là, e lentisco, mortella, cappero, euforbia nell’ampia radura retrostante. Alcuni tratti di mare, come quelli tra cala delle Roselle, lo Scoglietto e la grotta del Sale, dove un tempo si raccoglieva il prezioso minerale marino, offrono un’acqua verde chiaro; altri tratti stimolano la fantasia con le forme più strane della costa rocciosa, come l’evidente prominenza della scogliera detta punta dell’Elefante ( o punta di San Domino), che sembra un pachiderma accovacciato che immerge la proboscide in mare sullo sfondo dell’isola di San Nicola. Come in un dolce rincorrersi, segue cala del Pigno con la punta del Pigno dominata da alti roccioni chiusi all’estremo S.W. dalla punta dell’Elefante, circondata da pini da pinòli ; cala Matano (o della Duchessa), approdo naturale per le imbarcazioni da diporto, caratterizzata da una serie di lastre piatte  che appaiono come scogli tagliati e appoggiati sul mare, invitanti per un bagno di sole ; cala dello Spido con baiette e la sua punta proterva e una piccola insenatura a forma di imbuto denominata appunto Mutillo. Il periplo di San Domino si conclude con cala delle Arene, la spiaggia di Tremiti, circondata da bar e ristoranti, con la Toppa di Caino e il Porticciolo, affollato durante il periodo estivo dai traghetti che collegano le isole Tremiti con Termoli e il Gargano. Se la storia di San Nicola è antica e complessa quella di San Domino si sviluppa nell’arco degli ultimi decenni, quando entrata in crisi l’economia tremitese dopo la chiusura della colonia penale, gli isolani trovarono nel turismo una nuova redditizia risorsa, merito delle ricchezze naturalistiche di San Domino che ne favorì l’insediamento. La vita , pertanto, si trasferì dall’isola di San Nicola sull’isola di San Domino, dove sono sorte la maggior parte delle strutture alberghiere e ricreative. Numerosi sono i ristoranti e i bar. Vi sono alcuni negozi di generi alimentari, boutique e un paio di discoteche.

Questo cambiamento segna una cesura storica importante per le isole Tremiti; si apre sì un altro futuro, dal momento in cui il paesaggio è divenuto anche bellezza paesistica, obbligando i nativi a sfruttarlo intensamente ma comporta una scelta: quella delle relazioni tra usi produttivi del territorio e controllo del paesaggio. Le cartoline di questa seconda sezione dedicate all’isola di

San Domino diventano la rievocazione e la lettura del suo paesaggio, della sua storia, della sua cultura, del suo cammino verso il domani.

                                                                                              Maria Teresa De Nttis