SOPRAVVIVENZA DI SPECIE FLORISTICHE ENDEMICHE DELL’AMBIENTE AGRICOLO DI SAN DOMINO NEI PRIMI DEL ‘900: IL GELSO BIANCO (MORUS ALBA) E IL GELSO NERO (MORUS NIGRA)

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1941

di Maria Teresa De Nittis

La salita dell’isola di San Domino, partendo dalla marina, si compie attraverso una spaziosa strada panoramica che  si biforca in prossimità dell’albergo Eden,  proseguendo a sinistra, verso il villaggio e il faro, a destra verso gli ex  cameroni dei confinati e l’Hotel San Domino. Sul ciglio di questa strada che, limita la “Piana Grande”, resistono al tempo due alberi di gelso secolari, tra i pochi esemplari rimasti sull’isola di San Domino. La presenza, simbolica, monumentale, di questi due alberi gemelli, di gelso bianco e di gelso nero, sembra quasi volerci ricordare il paesaggio, la vita rurale e la comunità isolana di ieri, oggi votata alle attività turistiche. Ho ricordi indelebili e luminosi, quando da bambina, zio Ciccillo, il fratello maggiore di mia madre, mi portava con sé a fare scorta d’acqua e caricava la “varda” con i  barili sulla groppa di “Barone”, il nostro vecchio asinello, e tenendolo per le briglie s’incamminava lento verso la cisterna dei Benedettini. Al ritorno, zio Ciccillo legava l’asinello a un gelso e si addormentava sotto la sua ombra preziosa. Nell’ attesa del suo risveglio, mi arrampicavo su entrambi gli alberi e facevo scorpacciate di more bianche e nere. All’ombra dei due gelsi zio Ciccillo mi ha insegnato a leggere, mi  raccontava aneddoti e storie, talvolta raccapriccianti dei confinati in semilibertà sull’isola. Ancora oggi mi sembra di ascoltare il fruscio delle fronde dei gelsi nel vento e  la voce amabile e rassicurante, di quell’anima gentile di mio zio. I due esemplari di gelso sono a tutti gli effetti una specie botanica importante e di assoluto rilievo nel giardino storico-culturale di San Domino. E’mio auspicio che questi alberi, nei quali i nativi si identificano tramite racconti,vengano tutelati e curati.

 Morus nigra e Morus alba: scheda botanica, leggenda e cenni storici.

MORUS ALBA si presenta con un tronco robusto variamente ramificato, belle foglie verdi seghettate alterne di forma ovata o cuoriformi (a volte trilobate) sostenute da un picciolo scanalato, glabre nella pagina inferiore.L’albero ha crescita rapida, aspetto imponente, chioma espansa e densa. Al di sotto della corteccia corre una fitte rete di canali ricca di lattice. I fiori a grappolo hanno un aspetto irrilevante, presenti sulla pianta in entrambi i sessi, la fioritura di colore verde passa spesso inosservata.I frutti vengono denominati impropriamente “more”, in realtà il frutto è un sorosio, un falso frutto costituito da tante piccole sfere raggruppate e a loro volta formate dal frutto vero ricoperto da una polpa bianco-rosata commestibile. Il Gelso bianco anche se in Italia non è una pianta autoctona si è diffuso e propagato con facilità grazie alla rusticità e alla semplice riproduzione spontanea per seme.

MORUS NIGRA o Gelso nero presenta dimensioni inferiori rispetto ad M. alba, la foglia è pubescente nella pagina inferiore e ruvida in quella superiore, i frutti giunti alla maturazione assumono una colorazione rossastra ed un ottimo sapore.
Tipico è mangiarli direttamente dall’albero per l’alta deperibilità, in Sicilia ho assaggiato ottime granite ai frutti di gelso nero.

Nella metamorfosi di Ovidio, il gelso nero tratta della drammatica storia di due giovani babilonesi: due giovani si amavano teneramente e trovavano spesso presso una fonte all’ombra di un albero di gelso. Di nascosto, perchè le famiglie come nell’opera di Shakespeare “Romeo e Giulietta” contrastavano questa unione. Un giorno Tisbe arrivata per prima alla fonte, scorse una leonessa e fuggì spaventata, lasciando cadere il velo che la ricopriva. La belva lacerandolo lo arrossò del sangue di una preda che aveva precedentemente uccisa. Poco dopo arrivò Piramo trovò il velo e credette che Tisbe fosse morta per colpa sua. Disperato si trafisse il cuore e il suo sangue schizzò le more del gelso. Quando Tisbe tornò e vide l’accaduto maledì l’albero: “porterai per sempre frutti scuri in segno di lutto per testimoniare che due amanti ti bagnarono con il loro “sangue” e si trafisse con la stessa spada usata da Piramo. Da allora i frutti del moro nero prima bianchi poi rossi, quando maturano assumono un colore porpora scuro. Il racconto citato da Ovidio è presente anche nella “Divina Commedia” di Dante Alighieri, precisamente nel Purgatorio, XXVII, vv. 37-42  “Come al nome di Tisbe aperse il ciglio Piramo in su la morte, e riguardolla, allor che ‘l gelso diventò vermiglio […]“. La leggenda ambientata a Babilonia perchè il gelso nero è forse originario proprio del Medio Oriente, ma non cresce più da nessuna parte allo stato spontaneo. Fu introdotto in Europa dai Greci e dai Romani, che ne apprezzavano i frutti dal sapore dolce-amaro, frutti tuttora conservati freschi o in conserva. Orazio ne consigliava il consumo per le loro qualità nutritive e medicinali. Plinio il Vecchio, lo definiva “sapientissima arborum”, il più saggio degli alberi perchè con pazienza attende che siano scongiurate anche le gelate più tardive per emettere il fogliame. Nella sua ‘Naturalis Historia’ affermava che i frutti acerbi del gelso nero portati addosso, arrestavano le emorragie, mentre quelli maturi erano utilizzabili per un medicamento per curare mal di gola e disturbi di stomaco. Romani e Greci apprezzavano sulle loro tavole il rosso frutto composto che chiamavano morus, Morus celsa (cioè Moro alto) è la pianta che lo produce, un appellativo che lo distingue dalle more di rovo. I Romani adoravano le sete preziose che importavano dall’Oriente a caro prezzo, non sapevano quale rapporto intercorreva tra le seriche stoffe e la pianta del Gelso, l’alimento principale per l’allevamento di Bombyx  mori, il baco da seta. Ai tempi dell’imperatore Giustiniano, nel 551 d.C. il grande segreto fu svelato da due monaci di San Basilio, missionari in India, giunti poi sino in Cina, dove appresero il modo di allevare il baco da seta. Da Costantinopoli alla Grecia e da qui in Italia, l’albero del Gelso bianco (Morus alba) diventa prezioso, l’indispensabile sostentamento per i bachi da seta che si nutrono esclusivamente di queste foglie. Negli statuti comunali del 1300 viene imposta la piantagione di Morus alba a tutti i proprietari terrieri e decretate gravi sanzioni a chi danneggia le piante. Prende via l’epoca millenaria dell’albero dorato. Morus nigra, il Gelso nero, non manca nei chiostri medioevali, viene utilizzato di frequente dai frati per la produzione di un vino ottenuto dai frutti e detto “Vinum moratum” o per arricchire il colore del vino rosso. Gelso bianco e Gelso nero sono piante molto simili anche se a quest’ultimo viene attribuita maggior robustezza, dimensioni e resistenza al freddo.
Sono entrambi alberi caducifogli che appartengono alla famiglia delle Moraceae, Morus nigra probabilmente arrivato in Europa dal Medioriente da millenni, Morus alba giunto dalla Cina solo nel XV secolo. In Italia,è ancora oggi coltivato per la produzione del frutto e come pianta ornamentale,ma è assai meno frequente del gelso bianco.L’importanza economica di questa coltura è stata notevole in passato, quando l’Italia, grazie alle condizioni climatiche favorevoli, era uno dei più importanti centri di produzione della seta e il gelso era definito “albero d’oro”,per gli alti redditi che assicurava. L’avvento delle fibre sintetiche fece declinare questa industria, che, però, suscita oggi un rinnovato interesse.

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro.

Questi versi furono scritti dal giovane Ungaretti vicino alla sola pianta che sarebbe rimasta in piedi sul campo di battaglia e che segnava il confine tra il campo dell’esercito austroungarico e quello italiano. Nessuno albero mai come il gelso ha assunto tanto valore simbolico come questa pianta, al punto da diventare monumento storico che gli ungheresi tagliarono e portarono in patria come una reliquia, traforato da colpi e bombardamenti. Giuseppe Ungaretti, Il poeta, soldato nella prima guerra mondiale, nella poesia “ San Martino del Carso, sotto il titolo mette l’indicazione inequivocabile di un luogo e una data: Valloncello dell’Albero Isolato, 27 agosto 1916…

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Maulbeere - morus 01
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DIDASCALIE:

1- San Domino, pianta di gelso sul ciglio della strada che, limita la “Piana Grande”. Il Morus nigra è un albero deciduo alto fino a 10-15 m, con chioma globosa espansa, densa, verde brillante.

2- San Domino, esemplari di Morus nigra a Morus alba, i due alberi gemelli in prossimità dell’hotel Eden e dell’hotel Paradiso.

3- il tronco del gelso, corto e massiccio, pieno di cavità, largamente ramificato.

4- il tronco dell’albero di gelso ha portamento eretto e può  raggiungere una circonferenza di almeno sei metri.

5- Le foglie dell’albero di gelso ovate e prive di lobi o cuoriformi e seghettate, con apice acuto; il colore è di un verde brillante e generalmente la forma è irregolare ed asimmetrica, per cui una metà non si sovrappone all’altra.

6- Pianta secolare di gelso.

7- Frutti maturi di gelso nero.

8-  Ramo con frutti maturi di gelso nero.

9-  Ramo con frutti maturi di gelso bianco.

10-  Van Gogh, albero di gelso.