DI TARANTO CONSALVO: UNA LIRICA INQUIETANTE PER TREMITI NEI CANTI DELLA DAUNIA

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A Tremiti, in: Canti della Daunia /Di Taranto Consalvo . –   Matera : tip. Conti [Conti], 1924 . –  pp. 20 – 23

Segnalazione bibliografica di Ivan Cosmai

Le isole di Tremiti furono dagli antichi dette Diomedee per la leggenda che vi fa approdare Diomede. Nel medioevo costituirono una delle più potenti badie benedettine con terre e castelli sulla costa garganica. Oggi sono un ergastolo. La bellezza del cielo e del mare, la feracità del terreno vale forse a richiamare a sensi più umani animi feroci e agitati dai rimorsi? O li esacerba maggiormente e li rende più miseri?

A Tremiti

Vien di levante dolce, con rorida

ala molcendo l’onda de l’Adria,

lo zefiro molle che fausto

la candida vela a Diomede

          sospinse e dritta volse pel cerulo

          mar nereggiante la prora all’isole

          splendenti di verde, specchianti

          il mirto nell’acque. Sempre care

alla vivace mente degli Elleni,

l’isole forse son delle Esperidi,

la sede beata che il sogno

trovò de’ poeti alla sorrisa

            speme del core? O d’Alcina il fulgido

            nido tra’ fiori propizio al vivido

            ardor dell’alato guerriero?

            O il novo giardin pieno d’incanto

Che d’amorosa fiamma con trepido

Affetto il Tasso dipinse e al facile

Rinaldo donò con Armida,

più nulla per sé potendo in terra

          sperare? Forse son degli spiriti

          magni il soggiorno, dove risplendono

          i volti di luce immortale?

          Oh, non sono, no. Perché esse dunque

fragranti d’alga dal mare emersero

al sole? Quale forza al purissimo

splendore del cielo le spinse

dai fondi nettuni, se nera, atra

          sorte distolse da tanto lucido

          verde ed azzurro il dolce l’ingenuo

          sorriso de’ cuori, che abbella

          ch’infiora d’umana gioia il tempo

breve e la vita? O di dolore isole

triste e di pianto, d’amare lacrime

albergo, mentre alta d’intorno

di luce trionfa e di colori

          natura. Mano ingenua di vergine

          i vostri fiori non coglie, parvolo

          per voi non folleggia alla spiaggia

          guardata con l’armi in pugno strette,

se fuga tenti chi porta invidia

mesto all’alcione che spiega liberi

in aria i suoi vanni, e va, viene,

sopra i flutti ondeggia dispiegando

          l’ali, si culla beato. O misere

          ombre d’umane figure, trepide

          erranti, la pace cercando!

          Diurno avvoltoio dagli aguzzi

artigli fiero il rimorso strazia,

senza mai tregua offende implacabile

quelle anime in pena; di notte

sanguinante spettro, il braccio teso,

          minaccia: balza dal sonno pallido

          esterefatto colui che lucido

          congegno di morte trattando,

          nell’ira, Cain novello, spense

cara una vita e per l’oscuro aere

alle innocenti stelle in cielo ulula,

guaisce siccome affannata

da nemico stral belva ferita.

          Visione orrenda! La terra madida

          di sangue appare; per l’ossa un tremito

          discorre, un mortal sudore

          agghiaccia la fronte corrugata.

Nocchier, che reggi il timone a Tremiti

passa d’accanto, perché ineffabile

sventur compianga, e poi vira

con forza per lido più contenuto.

dello stesso Autore:

L’infante di Spagna Carlo 3. di Borbone in Italia prima della conquista del Regno – Napoli : Tip. N. Jovene [Jovene]1905

La Capitanata al tempo dei Normanni e degli Svevi – Matera : Conti1925

Il travaglio di un’anima – Bari : Vito Romano [Romano]1930

La Capitanata nell’anno 1848 – Deliceto : Ballestrieri1910

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