L’ultimo mastro cestaio delle Tremiti

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di Maria Teresa De Nittis

Ai tempi dei frati viveva nelle isole una popolazione di armigeri, barbieri, sarti, calzolai, panettieri, legnaioli, vignaioli, muratori “ et altri serventi”. Ma dopo la soppressione dell’abbazia, nessun documento parla più di questi artigiani; si giunge perciò alla convinzione che anch’essi abbandonassero le isole, mentre l’attuale popolazione ha un’origine particolare che, si ricollega al decreto di colonizzazione delle isole con il trasferimento coatto di persone non gradite, firmato il 28 luglio 1771 da Ferdinando IV di Napoli ( dal 1816 Ferdinando I delle Due Sicilie). In via sperimentale venivano istituite le colonie di Tremiti,Ventotene, di Ustica e di Lampedusa. A ogni colono veniva assegnato un terreno dove costruire una casa, insieme con 5 tomoli (circa un ettaro e mezzo) di terra coltivabile. Ognuno riceveva poi strumenti agricoli e un piccolo capitale per 3 anni, per superare le difficoltà dei primi tempi. In qualche caso, come si legge nella Cronaca civile e militare delle Due Sicilie di Luigi Del Pozzo, alle Tremiti e a Lampedusa s’insediò “gente trista della capitale che resta liberata”.  Durante una “Breve sosta alle Isole Tremiti”, alla fine degli anni ’50, un anonimo viaggiatore descrive l’abitato dell’isola di San Nicola, con i cameroni , un tempo, occupati al piano superiore, dai confinati (dalle finestrelle si scorgevano ancora robuste grate di ferro). A pianterreno si aprivano alcune botteghe senza mostre di generi diversi, di salumi, di coloniali, di pane e pasta, di frutta e verdura. Il viaggiatore descrive anche il “Bar con biliardo” con alcune donne sedute fuori della porta e l’interno occupato da armadi pieni delle merci più strane; l’Agenzia della Compagnia di Navigazione, la scuola, la cassetta delle lettere, la targa della Posta, la targa del Municipio; e un’altra targa con la scritta “Semaforo Marina Militare”. Sulla piazzetta antistante alla chiesa di Santa Maria, fiancheggiata da edifici a un piano, sulle porte alcune donne lavoravano all’aspo…Questa testimonianza, fa pensare a una comunità tremitese ben identificata, con una storia, con dei valori da difendere. I ritmi erano lenti non si conosceva fretta, né velocità, il tempo andava vissuto con calma e approfondimento; la comunicazione orale utilizzava il dialetto napoletano. A partire dagli anni 60 del secolo scorso si tentò di sottolineare e far conoscere il valore storico-culturale, naturalistico, ambientale e paesaggistico delle isole Tremiti. Con una popolazione svantaggiata dal punto di vista economico e isolata dai luoghi di aggregazione culturale, in gran parte sprovvista di titoli di studio e solide tradizioni artigianali e imprenditoriali, il turismo fu l’unico mezzo in grado di promuovere lo sviluppo locale. Purtroppo, non vi sono testimonianze  sull’abilità della tessitura  delle antenate tremitesi , si menzionano in qualche lontana memoria i corredi da sposa, le lenzuola e i copriletti fatti a mano ; e con telai semplici e rudimentali, le coperte, le calze, i maglioni. Tra gli antichi mestieri praticati alle Tremiti c’era quello del tessitore di rete da pesca con l’impiego di un lungo ago di legno a doppia cruna aperta, chiamato mòdano e del costruttore di nasse da pesca, le ceste fatte a mano con rami di giunco e verghe di mirto e lentischio, piante tipiche delle isole Tremiti.

Nelle foto: Emilio Sciusco, è l’ultimo mastro cestaio delle Tremiti, a mantenere viva  un’arte antica che rischia di perdersi.

Per gentile concessione di Mara Sciusco.

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